Razionalizzazione della spesa per beni e servizi, dispositivi medici e farmaci: LE CONTROVERSIE RIGUARDANTI L’ULTERIORE RIDUZIONE DELL’IMPORTO CONTRATTUALE SPETTANO AL GIUDICE ORDINARIO
Il Consiglio di Stato chiarisce, per mezzo della Sentenza n. 1937 del 25 marzo 2019, che anche le controversie inerenti alla ulteriore (seconda) riduzione nell’importo contrattuale disposta dall’amministrazione durante la fase di rinegoziazione e riduzione dell’ importo (5%) di alcuni contratti pubblici sono devolute alla giurisdizione del Giudice Ordinario. La sentenza si riferisce, in particolare, alle controversie riguardanti il caso di ulteriore rinegoziazione oltre a quella prevista dall’ art. 9-ter del Dl. n. 78/2015, convertito con Legge n. 125/2015, secondo il quale “a) per l’acquisto dei beni e servizi di cui alla tabella A allegata al presente decreto, gli enti del Servizio sanitario nazionale sono tenuti a proporre ai fornitori una rinegoziazione dei contratti in essere che abbia l’effetto di ridurre i prezzi unitari di fornitura e/o i volumi di acquisto, rispetto a quelli contenuti nei contratti in essere, e senza che ciò comporti modifica della durata del contratto, al fine di conseguire una riduzione su base annua del 5 per cento del valore complessivo dei contratti in essere” e prevede al comma 4 che “Nell’ipotesi di mancato accordo con i fornitori, nei casi di cui al comma 1, lettere a) e b), entro il termine di trenta giorni dalla trasmissione della proposta in ordine ai prezzi o ai volumi come individuati ai sensi del comma 1, gli enti del Servizio sanitario nazionale hanno diritto di recedere dal contratto, in deroga all’articolo 1671 del codice civile, senza alcun onere a carico degli stessi. E’ fatta salva la facoltà del fornitore di recedere dal contratto entro trenta giorni dalla comunicazione della manifestazione di volontà di operare la riduzione, senza alcuna penalità da recesso verso l’amministrazione. Il recesso è comunicato all’amministrazione e ha effetto decorsi trenta giorni dal ricevimento della relativa comunicazione da parte di quest’ultima”
In caso di pretesa da parte dell’amministrazione di procedere alla riduzione dell’importo contrattuale durante una rinegoziazione, la giurisdizione spetta al Giudice Ordinario. Infatti l’amministrazione, secondo la sentenza, può vantare il solo diritto potestativo di recesso in caso di mancato accordo tra le parti sulla riduzione del prezzo o delle prestazioni (controbilanciato da analoga potestà dell’appaltatore di sciogliersi dal vincolo) e non un potere autoritativo di modifica unilaterale dell’oggetto del contratto. Nel caso in cui non si raggiunga un accordo comune riguardo alla modifiche del contratto, entrambe le parti hanno il diritto il recedere dallo stesso.
La stessa Corte costituzionale demanda alle parti l’ultima parola riguardo all’esito della rinegoziazione. Infatti: “l’alterazione dell’originario sinallagma non viene automaticamente determinata dalla norma, ma esige l’esplicito consenso di entrambe le parti. Ove tale consenso non venga raggiunto, soccorrono … le ipotesi alternative … del recesso, della nuova gara e della adesione transitoria a contratti più vantaggiosi” (Corte cost. Sent.n. 169 del 2017). In via analogica, il principio sopra affermato si applica anche in caso di ulteriore rinegoziazione.
La sentenza chiarisce, dunque, che il legislatore ha inteso tutelare:
Le prestazioni contrattuali stabilite dalle parti.
L’interesse pubblico, evitando perdite qualitative nelle prestazioni di beni e servizi delle pubbliche amministrazioni.
Lo sconvolgimento finanziario del contratto a causa di procrastinazioni/aumenti del corrispettivo temporale del contratto.
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