La concessione demaniale marittima per fini turistico-ricreativi (comunemente definita “concessione balneare”) è un atto amministrativo attraverso il quale lo Stato, o un ente locale, concede a un privato o a un’azienda il diritto di occupare e gestire una porzione di spiaggia o di costa per un periodo di tempo determinato. Questo tipo di concessione consente al concessionario di svolgere attività legate al turismo e al tempo libero, come la gestione di stabilimenti balneari, la locazione di ombrelloni, lettini, e l'organizzazione di attività sportive o ricreative in prossimità dell’acqua.
Per ottenere una concessione balneare, è necessario seguire un processo che include la richiesta di concessione demaniale marittima presso l’ufficio regionale competente, l’ottenimento delle necessarie autorizzazioni (ambientale, iscrizione al registro delle imprese, corsi di formazione specifici a seconda del tipo di concessione) e le necessarie licenze per eventuali servizi aggiuntivi come bar o ristoranti.
La durata delle concessioni balneari ha subito diverse modifiche normative nel corso degli anni. Originariamente, il Codice della navigazione del 1942 non forniva una durata specifica per le concessioni balneari, prevedendo una sorta di concorrenza tra le domande di concessione per lo stesso bene demaniale, con un meccanismo di selezione basato sulle garanzie offerte in termini di sicurezza e tutela. Tuttavia, questa disposizione non è stata mai pienamente attuata, e le concessioni balneari hanno spesso beneficiato di proroghe quasi automatiche, di durata generalmente non inferiore ai sei anni.
Il D.L. n. 400 del 1993 ha introdotto il cosiddetto “diritto d'insistenza”, quale diritto di un soggetto di richiedere il rinnovo di una concessione basandosi sulla sua posizione di titolare precedente, salvo casi di revoca per gravi motivi o altre ragioni di interesse pubblico.
L’evoluzione degli anni 200
La situazione è stata complicata dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 168 del 2005, che ha evidenziato come l’affidamento diretto delle concessioni balneari violasse le normative comunitarie, contrastando con il principio di concorrenza previsto dal diritto dell'Unione Europea.
La direttiva 2006/123/CE, nota come direttiva Bolkestein, ha poi introdotto il concetto di “regime di autorizzazione” per le attività di servizio, inclusi i rilasci di concessioni, con l’obiettivo di eliminare le restrizioni alla libertà di stabilimento nel mercato unico europeo. Questo ha posto le basi per una maggiore apertura e concorrenza nel settore delle concessioni balneari, in contrasto con la prassi nazionale di rinnovo automatico e di diritto di insistenza.
Nonostante le proroghe legislative nazionali che hanno esteso la validità delle concessioni esistenti, da ultimo, fino al 2033, e nonostante le disposizioni emergenziali come quelle introdotte dal dl 34/2020 per fronteggiare la pandemia, il dibattito giuridico e politico sulle concessioni balneari è rimasto acceso. La giurisprudenza amministrativa italiana, ha offerto interpretazioni contrastanti sulla compatibilità della normativa nazionale con le direttive europee.
A seguito delle contrastanti interpretazioni fornite dalla giurisprudenza amministrativa è intervenuta l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato che, con le pronunce nn. 17-18 del 2021, ha affermato che la disciplina nazionale che prevede la proroga automatica delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative (inclusa la moratoria pandemica ex art. 182, comma 2, d.l. n. 34/2020), contrasta con l’art. 49 Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea e con l’art. 12 della direttiva 2006/123/CE.
La recente sentenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea (sentenza del 20 aprile 2023 resa nella causa C-348/22) ha da ultimo ribadito e chiarito la diretta applicabilità della direttiva Bolkestein al settore delle concessioni demaniali marittime, sottolineando l’obbligo per le autorità nazionali e locali di applicare le norme dell'Unione, disapplicando quelle nazionali non conformi, riaffermando la necessità di aprire a concorrenza le concessioni balneari, anche in assenza di un interesse transfrontaliero evidente. Inoltre, ha evidenziato la necessità di una valutazione della scarsità delle risorse naturali e delle concessioni disponibili che tenga conto sia di criteri generali, sia di analisi specifiche del territorio costiero interessato.
Il punto nodale della vicenda è, quindi, la diretta applicabilità alla normativa nazionale della direttiva Bolkestein. Infatti secondo le sopra accennate sentenze della Corte di Giustizia e dell’Adunanza Plenaria, tale direttiva è self executing ovvero è autoesecutiva e può essere direttamente applicata dagli Stati membri. Il Giudice italiano deve, quindi, disattendere la normativa nazionale in contrasto con quella europea.
In questo scenario complesso, l’applicazione dei principi di cui alla sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea richiede un'azione decisiva da parte del legislatore italiano per riformare il sistema delle concessioni demaniali marittime in linea con i principi del diritto dell'Unione Europea, ponendo fine a un lungo periodo di incertezza normativa e giuridica.
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