Il giudizio di ottemperanza è uno strumento di coazione indiretta attraverso il quale il giudice Amministrativo può, sia nei confronti delle sentenze del Giudice Ordinario passate in giudicato, sia nei confronti delle sentenze dei Tribunali Amministrativi Regionali, conferire attuazione concreta al giudicato. Questa tipologia di giudizio nasce, perciò, come necessario completamento della tutela giudiziale garantita attraverso l’emissione di una sentenza di condanna nei confronti di qualsiasi Pubblica Amministrazione (Enti, Ministeri, Società Pubbliche, etc.). Tale strumento risulta dunque utile per dare esecuzione effettiva a sentenze pronunciate nei confronti della P.A., quando questa non abbia adempiuto spontaneamente (es. pagamento somme di denaro).
Nell’ipotesi di crediti nei confronti della P.A., l’istituto dell’ottemperanza è un efficace strumento del processo amministrativo in quanto consente di evitare l’iter dei pignoramenti forzati e ottenere il saldo del debito riconosciuto con sentenza.
Dal punto di vista della procedura, il Giudice Amministrativo ordina l’ottemperanza, in accoglimento del ricorso presentato, e ne prescrive le relative modalità di esecuzione, nominando, nel caso, un soggetto (c.d. commissario ad acta) che si sostituisce all’Amministrazione inadempiente e adotta l’atto dovuto (es. pagamento) in sua vece. Inoltre, il Codice del Processo Amministrativo prevede (articoli 112, co. 5 e 114, co. 7) che si possa ricorrere al giudizio di ottemperanza anche per ottenere chiarimenti sulle modalità dell’ottemperanza stessa, anche quando la richiesta provenga dallo stesso commissario ad acta.
Con riguardo all’appellabilità della sentenza che ha ordinato l’ottemperanza all’Amministrazione, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, hanno stabilito che tale giudizio ha natura giurisdizionale e per questo le pronunce che lo concludono, senza eccezioni o limitazioni, non potendo essere direttamente impugnate con ricorso per Cassazione, dovranno essere preventivamente appellate davanti al Consiglio di Stato (Cass. SS. UU. 6 novembre 2017, n. 26259).
Lo stesso Codice del processo amministrativo, all’art. 114, comma 8, ammette in via generale l’impugnabilità di tutti i provvedimenti giurisdizionali adottati dal giudice dell’ottemperanza.
L’evoluzione giurisprudenziale ha invece posto dei distinguo, in base al contenuto, da valutarsi caso per caso, della sentenza soggetta a richiesta di esecuzione.
Il Consiglio di Stato, ormai da tempo (cfr. sent. 22 giugno 2020, n. 4004), ritiene infatti che, data la natura mista del giudizio di ottemperanza (di cognizione ed esecuzione), occorre individuare il contenuto della pronunzia conclusiva, per determinare, o meno, la possibilità di impugnazione.
Le decisioni adottate in sede di ottemperanza sono inappellabili soltanto se contengano disposizioni meramente attuative del giudicato, mentre, qualora risolvano anche questioni di natura cognitoria, in rito o in merito, sono soggette all’appello.
Non sono quindi appellabili le sentenze pronunciate dal Tar sui ricorsi di ottemperanza al giudicato quando propongano questioni concernenti l’esatto significato e la portata della sentenza da eseguire, mentre sono appellabili le sentenze che hanno disposto, in sostituzione dell’Amministrazione, le misure di carattere tecnico per la esecuzione del giudicato come quella di nomina di un commissario ad acta o quelle che fissano i criteri direttivi ai quali lo stesso si deve conformare.
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