A distanza di poco più di un anno dall’avvio della “Plastic free challenge” da parte del Ministro dell’Ambiente, Sergio Costa, e a pochi mesi dall’entrata in vigore della direttiva comunitaria sulla plastica monouso, è possibile fare un primo bilancio in merito alla disciplina vigente e praticata di fatto, con particolare riferimento al settore del Vending.
Come ormai noto, la “Plastic free challenge” (tradotto: “La sfida alla riduzione delle plastiche”) è una campagna volta a coinvolgere persone, società e istituzioni affinché si impegnino a eliminare la plastica usa e getta, in quanto fonte di inquinamento per gli oceani e, più in generale, per l’ambiente.
Al momento del lancio della campagna, nel giugno del 2018, il Ministro Costa, sul modello di quello che viene chiamato “Ice buckett challenge”, aveva dunque invitato chiunque partecipasse a twittare il proprio impegno sulla plastica con l’hashtag #PFC.
A oggi hanno aderito decine di enti pubblici e istituzioni e può dirsi con certezza che la sfida abbia avuto mediaticamente un indubbio successo.
Messi in disparte, tuttavia, gli aspetti emozionali, emergono criticità e incongruenze di non poco conto, tali da far sorgere più di un dubbio sia sull’impostazione “proibizionista” della campagna, sia sulla reale efficacia dell’immediata messa al bando di alcuni prodotti plastici dal mercato.
La direttiva europea, giova ribadirlo, ha previsto la riduzione graduale della plastica monouso, secondo un programma scaglionato nel tempo. Entro il 2021 sarà bandita una serie di prodotti (cotton fioc, forchette, coltelli, cucchiai, bacchette, piatti, cannucce, mescolatori per bevande, aste per palloncini, tazze, vaschette, articoli monouso in plastica oxo-degradabile). A partire dal 2025 le bottiglie in plastica dovranno contenere un minimo del 25% di materiale riciclato, percentuale che salirà al 30% nel 2030. Inoltre, i Paesi membri della UE, entro il 2025, dovranno raccogliere separatamente da altri flussi il 77% di quanto immesso sul mercato e il 90% entro il 2029.
A fronte della gradualità prevista dalla direttiva, la “sfida” lanciata dal Ministro Costa, in assenza di qualsivoglia genere di normazione nazionale, ha, di fatto, incentivato l’abbandono “ex nunc” della plastica monouso, demandando agli enti locali l’adozione dei provvedimenti ritenuti più opportuni.
Prescindendo dall’errata impostazione di fondo, per la quale, invece di puntare sul riciclo, si è deciso di “proibire”, la fuga in avanti del Ministro ha creato la moltiplicazione dei più disparati provvedimenti amministrativi, spesso incongruenti e lesivi degli interessi degli stessi cittadini, senza risolvere, né attenuare, nella maggioranza dei casi, il problema ambientale.
L’obiettivo, ad avviso di chi scrive, non è, infatti, l’eliminazione “tout court” della plastica, bensì evitarne la dispersione nell’ambiente, sia con una maggiore educazione civica, sia incentivando politiche di riciclo. Se riciclata, infatti, la plastica è il materiale più ecologico oggi a nostra disposizione.
Con particolare riferimento al settore del Vending, è importante sottolineare come la giustizia amministrativa, chiamata a pronunciarsi sulla legittimità dei provvedimenti “anti-plastica”, di volta in volta sottoposti al suo esame, abbia cominciato a operare dei distinguo, censurando, seppure, a oggi, pressoché nella sola fase cautelare, l’immotivato diniego alla vendita e all’utilizzazione della plastica monouso.
In particolare, si segnalano due recenti ordinanze del Tar della Sicilia, sede di Palermo, che hanno affrontato compiutamente la questione di cui sopra.
Sotto un primo aspetto, il Tar di Palermo ha stabilito che le ordinanze adottate dai sindaci in via di urgenza devono necessariamente essere limitate nel tempo e fare riferimento a “situazioni eccezionali”. In caso contrario, gli enti locali andrebbero non già a intervenire per fronteggiare una situazione imprevedibile e urgente, bensì a regolamentare, con uno strumento non idoneo, situazioni sottratte alla loro competenza (Tar Sicilia, sede di Palermo, ord. n. 807/19).
In un’altra pronuncia (Tar Sicilia, sede di Palermo, ord. n. 798/19), sempre in fase cautelare, è stata data compiuta motivazione in ordine ai profili di illegittimità di un’ordinanza sindacale che vieti indiscriminatamente l’uso della plastica, posto che:
il divieto di utilizzare oggetti in plastica monouso, come piatti posate, cannucce e bastoncini, è stato stabilito in sede comunitaria soltanto a partire dal 2021;
allo stato non risulta essere stata adottata, né è richiamata, alcuna disposizione nazionale o regionale in fase “discendente” rispetto alla disciplina comunitaria”.
Con riferimento specifico al settore della Distribuzione Automatica, le stesse argomentazioni sono state svolte dal Tar della Puglia (sentenza 23 luglio 2019, n. 1063; conforme: ordinanza n. 315/2019), che ha annullato un’ordinanza – impugnata dall’impresa di gestione Matarrese Service Snc – con la quale il sindaco di Andria aveva imposto che i gestori di distributori automatici di cibi e bevande dovessero utilizzare, dal 1° gennaio 2020, esclusivamente bicchieri, posate, mescolatori in materiale biodegradabile e compostabile certificato.
L’ordinanza annullata è stata ritenuta illegittima in quanto adottata al fine di “diminuire la percentuale di rifiuti dannosi per l’ambiente, a favore di utensili riutilizzabili; diminuire il ricorso a materie prime non rinnovabili (petroli); salvaguardare l’ecosistema quale fonte di inestimabile ricchezza” ma in assenza di menzione circa l’urgenza o le ragioni che avrebbero reso impossibile il ricorso agli ordinari strumenti previsti dalla legge, nonché per l’assenza di un termine di efficacia finale e addirittura con il differimento in avanti del termine iniziale (previsto appunto il 1° gennaio 2020).
Gli stessi giudici hanno ribadito l’assenza di alcuna fonte normativa europea vincolante, sia per gli Stati membri della UE, sia, a maggior ragione, per gli enti locali, evidenziando che, al momento dell’adozione dell’atto gravato, l’unico divieto vigente era quello della commercializzazione di borse di plastica ex art. 226-bis del codice dell’ambiente.
Infine, il Tar ha evidenziato come, a riprova dell’assenza di norme vincolanti, lo stesso Comune di Andria avesse richiamato le norme in materia di riciclaggio, recupero e smaltimento dei rifiuti, le quali, all’evidenza, nulla avevano a che vedere con la regolamentazione dell’uso della plastica, non potendo, pertanto, legittimare il potere esercitato nel caso di specie.
Concludendo, nell’attesa di poter verificare in maniera più organica e compiuta la risposta della Giustizia Amministrativa alle problematiche non risolte, si può affermare che il raggiungimento del compromesso fra i diversi interessi (economici e di tutela dell’ambiente) deve essere ripensato, tenendo conto della complessiva situazione, anche occupazionale, senza filtri ideologici e tentazioni mediatiche.