L’acronimo MePA (Mercato Elettronico della Pubblica Amministrazione) indica un nuovo mercato 2.0 dove la Pubblica Amministrazione può acquistare beni, servizi e lavori di manutenzione di importo inferiore alla soglia comunitaria.
Si tratta di un vero e proprio mercato virtuale in cui alla domanda della PA viene incontro l’offerta di beni e servizi da parte delle imprese e dei fornitori abilitati. Grazie alla digitalizzazione dei processi di procurement pubblico il tutto avviene con tempi di gara e costi commerciali ridotti.
Gestito dalla Consip, il MePA, pur non modificando le regole giuridiche e commerciali dei processi di approvvigionamento pubblici, costituisce un forte elemento di innovazione di questi stessi processi. Notevoli si sono dimostrati infatti i vantaggi sia per la PA che per i fornitori. La prima ha visto semplificarsi le procedure d’acquisto e la riduzione di tempi e costi, l’incremento della competitività e della concorrenzialità, disponendo, nel mercato virtuale, di un vasto numero di fornitori, nonché la possibilità di una maggiore trasparenza e controllo sugli acquisti e sulle spese.
Per i fornitori, invece, il MePA ha significato un ulteriore canale di ingresso al mercato della PA, la possibilità di operare non più solo su scala territoriale e quindi provinciale ma anche nazionale, infine un aumento di partecipazione da parte delle piccole e medie imprese spesso avvantaggiate da localizzazione e specializzazione.
In qualsiasi momento le imprese possono avviare la richiesta di abilitazione e le Amministrazioni possono acquistare scegliendo le offerte pubblicate direttamente dal catalogo oppure negoziando con i fornitori abilitati.
La legge prevede che possano fare acquisti attraverso il MePA i seguenti enti e PA:
A tutti gli enti sopra citati è concesso di prendere parte alle tre fasi previste per la procedura di vendita e acquisto sul Mercato elettronico.
Entrare nel mercato MEPA ed eseguire contratti pubblici comporta molto stesso l’insorgenza di crediti nei confronti della stessa Pubblica Amministrazione.
Tanto è stato fatto per semplificare le procedure di recupero del credito nei confronti della PA. In tal senso, sono stati molteplici gli interventi legislativi e politici che hanno influito sui meccanismi di gestione del ciclo passivo da parte della Pubblica Amministrazione, così come sulla capacità di reperire liquidità da parte di quest’ultima.
Inoltre, il rispetto delle scadenze dei pagamenti è stato normativizzato, essendo stato riconosciuto come fattore determinante per la competitività del Paese e per la sua credibilità sul piano internazionale.
La Direttiva 2011/7/UE la legge 3 maggio 2019, n. 37, impongono, oggi, che i pagamenti debbano essere eseguiti entro il termine di trenta o, in determinati casi, disessanta giorni.
Ripercorrendo l’iter non sempre organico seguito dal nostro Paese, il quadro normativo volto a sostenere la PA nel pagamento dei propri debiti commerciali può essere così sintetizzato:
Ricordiamo infine il sistema Siope+, la nuova infrastruttura che intermedia il colloquio tra Pubbliche Amministrazioni e banche tesoriere, che ha comportato un effettivo miglioramento della qualità dei dati per il monitoraggio della spesa pubblica e per il rilevamento dei tempi di pagamento delle Pubbliche Amministrazioni nei confronti delle imprese fornitrici. Ciò mira a far divenire la procedura del recupero crediti, cui spesso giungono necessariamente molte imprese, l’ultima strada da intraprendere.
Nonostante la modernizzazione delle procedure, come confermato dai recenti dati Eurostat, la PA, negli ultimi anni, ha costantemente aumentato il proprio debito per crediti commerciali verso le imprese, arrivando a superare, secondo la stima della Banca d’Italia, il tetto dei 50 miliardi di Euro.
Il percorso per il recupero dei crediti presso una Pubblica Amministrazione è sicuramente più complesso rispetto alla procedura ordinaria prevista nei confronti dei privati. Tuttavia, l’impresa creditrice della PA ha a disposizione una possibilità in più per ottenere il recupero del credito: il ricorso per l’ottemperanza del giudicato.
In via ordinaria, una volta ottenuto un titolo esecutivo (sentenza, decreto ingiuntivo non opposto), a fronte dell’omesso pagamento, l’azienda è costretta ad avviare la c.d. esecuzione forzata, procedendo al pignoramento del debitore. Questa strada è oggi diventata lunga e laboriosa, benché sia l’unica possibile nel caso del recupero forzoso del credito verso un debitore privato.
Tuttavia, quando il debitore è una Pubblica Amministrazione, un ente o una società pubblica, l’azienda creditrice può ricorrere ad un rimedio alternativo al pignoramento: il giudizio di ottemperanza.
Come per il pignoramento, per poter attivare il giudizio di ottemperanza è necessario che il diritto di credito sia stato accertato da una sentenza o da altro provvedimento analogo, sia del Tribunale ordinario (anche per i gradi successivi al primo: Corte d’Appello, Cassazione) sia del Tar e del Consiglio di Stato o di altro Giudice.
Sempre in analogia al pignoramento, occorre notificare il titolo (sentenza, decreto ingiuntivo definitivo) “in forma esecutiva” ed attendere il decorso dei 120 giorni concessi dalla legge all’Amministrazione per adempiere.
Decorsi i 120 giorni in assenza dell’adempimento, sarà possibile proporre ricorso al Tar, con il quale il privato chiederà al Giudice Amministrativo di fissare un termine (di regola, 30 giorni) all’Amministrazione per effettuare il pagamento, decorso il quale il Tribunale nominerà un commissario (c.d. commissario ad acta), che, materialmente, disporrà il pagamento, a spese del debitore, in favore dell’impresa ricorrente.
Lo Studio Legale Tristano assiste i propri clienti nel recupero dei crediti commerciali verso la Pubblica Amministrazione, garantendo l’attivazione della procedura più rapida e più efficace, nell’ottica della ottimizzazione dei costi da parte dell’azienda.