E’ pacifico che le sentenze della Corte di Giustizia Europea aventi ad oggetto l’individuazione della ratio legis, ovvero l’interpretazione, di una specifica norma euro-unitaria, sono direttamente vincolanti per la Pubblica Amministrazione.
Maggiori incertezze sussistono per le pronunce che individuano i modi di applicazione della disciplina unionale considerata in generale, essendo sottratto, alle sentenze della CGUE, il potere abrogativo di norme interne degli Stati membri.
Data la natura di fonte non scritta del diritto, la dottrina e la giurisprudenza manifestano più di un dubbio in merito al potere (e al conseguente obbligo) per l’Amministrazione di disapplicare una norma nazionale in contrasto con una sentenza della CGUE (cfr., TAR Puglia, Lecce, Sez. I, 27 novembre 2020, n. 1321).
Nell’attesa di una sintesi interpretativa sul punto, la norma interna, seppur in conflitto con una sentenza euro-unitaria, dovrà dunque considerarsi vincolante per la P.A., fintantoché il legislatore non sia intervenuto, modificando la legge in contrasto con i principi espressi nella sentenza comunitaria di specie.
Medio tempore, il potere di disapplicazione spetterà soltanto al Giudice Amministrativo, posto che la norma contrastante con i principi comunitari non può considerarsi nulla, bensì, al più, affetta da vizi.
La decisione della CGUE ha infatti portata vincolante per il Giudice remittente, con obbligo di discostarsi dalla diversa interpretazione offerta alla stessa normativa dal giudice nazionale di ultimo grado (v.G. Giust. Ue, 5 ottobre 2010, causa C-173/09, Elchinov e 15 gennaio 2013, causa C-416/10, Križan), nonché vincolante anche peri i Giudici di grado superiore, chiamati a pronunciarsi sulla medesima causa.
Il vincolo è tale che un rifiuto, da parte di una giurisdizione nazionale, di tener conto di una sentenza della Corte può implicare l’apertura di una procedura di infrazione e la presentazione da parte della Commissione del ricorso di inadempimento di cui all’art. 258 TFUE.
La recente sentenza della Corte di Giustizia Europea del 28.4.2022 (C-497/20) ha stabilito il contrasto tra l’articolo 63 della direttiva 2014/24 e la normativa nazionale, ove quest’ultima stabilisca che l’impresa mandataria di un raggruppamento di operatori economici partecipante a una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico debba possedere i requisiti previsti nel bando di gara ed eseguire le prestazioni di tale appalto in misura maggioritaria.
Stante quanto sopra, per effetto della recente sentenza della CGUE, la singola Amministrazione potrà decidere di modificare/disapplicare il bando contenente una clausola che imponga la l’esecuzione delle prestazioni in misura maggioritaria in capo alla mandataria ma non potrà considerarsi obbligata in tal senso, essendo attualmente rimesso soltanto al Giudice adìto il potere/dovere di disapplicare la norma nazionale contrastante con la disciplina comunitaria.
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