Come noto, la Direttiva 2011/7/UE impone alle autorità pubbliche di eseguire i pagamenti non oltre 30 giorni o, in casi singolarmente motivati, 60 giorni dalla data di ricevimento della fattura.
La recente legge 3 maggio 2019 , n. 37 “Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea – Legge europea 2018” ha ulteriormente ribadito la necessità di provvedere ai pagamenti entro 30 giorni.
Tuttavia, l’Italia continua a superare i termini di legge di matrice comunitaria, anche a causa dell’assenza, di fatto, di sanzioni in caso di dilazione del saldo, accumulando, addirittura, una media di 5 mesi di ritardo nel campo dei lavori pubblici ed aggiudicandosi così l’ultimo posto nella classifica dei pagamenti statali più lunghi d’Europa (collocandosi anche dopo Grecia e Portogallo).
Qualcosa è cambiato con la Legge di bilancio 2018 che, in merito ai pagamenti da parte delle Pubbliche Amministrazioni, prevede un maggior controllo sui versamenti ai fornitori, così come una nuova soglia (pari a 5.000 euro) al di sopra della quale scattano controlli sul creditore. Di questi, come in precedenza, verrà verificato l’eventuale inadempimento all’obbligo di versamento derivante dalla notifica di una o più cartelle di pagamento.
Ne consegue che in Italia, come previsto dal d.Lgs n. 192/2012, che recepisce la citata direttiva comunitaria 2011/7/UE, i termini per i pagamenti nelle transazioni con la PA sono fissati a 30 giorni, in alcuni casi derogabili a 60, oltre i quali scatta la sanzione degli interessi legali di mora oltre il tasso BCE a partire dal giorno successivo al termine previsto per la scadenza.
Il traguardo del rispetto dei tempi medi dei pagamenti viene raggiunto con più solerzia da Regioni e Città metropolitane, mentre si dimostrano ancora troppo lenti nei pagamenti Province e Comuni. Oltre a ciò, è ancora tangibile il divario nei pagamenti tra nord e sud,
Tuttavia, i tempi medi di pagamento della Pubblica Amministrazione, secondo una recente indagine dell’Ance, continuano a superare i limiti imposti dalla direttiva europea sui ritardi dei pagamenti, fino ad arrivare, addirittura, a ritardi di 168 giorni, ossia, 5 mesi, per le imprese che realizzano lavori pubblici contro i 60 giorni previsti per questo tipo di fatture lavori.
Il percorso per il recupero dei crediti presso una Pubblica Amministrazione è sicuramente più complesso rispetto alla procedura ordinaria prevista nei confronti dei privati. Tuttavia, l’impresa creditrice della PA ha a disposizione una possibilità in più per ottenere il recupero del credito: il ricorso per l’ottemperanza del giudicato.
In via ordinaria, una volta ottenuto un titolo esecutivo (sentenza, decreto ingiuntivo non opposto), a fronte dell’omesso pagamento, l’azienda è costretta ad avviare la c.d. esecuzione forzata, procedendo al pignoramento del debitore. Questa strada è oggi diventata lunga e laboriosa, benché sia l’unica possibile nel caso del recupero forzoso del credito verso un debitore privato.
Tuttavia, quando il debitore è una Pubblica Amministrazione, un ente o una società pubblica, l’azienda creditrice può ricorrere ad un rimedio alternativo al pignoramento: il giudizio di ottemperanza.
Come per il pignoramento, per poter attivare il giudizio di ottemperanza è necessario che il diritto di credito sia stato accertato da una sentenza o da altro provvedimento analogo, sia del Tribunale ordinario (anche per i gradi successivi al primo: Corte d’Appello, Cassazione) sia del Tar e del Consiglio di Stato o di altro Giudice.
Sempre in analogia al pignoramento, occorre notificare il titolo (sentenza, decreto ingiuntivo definitivo) “in forma esecutiva” ed attendere il decorso dei 120 giorni concessi dalla legge all’Amministrazione per adempiere.
Decorsi i 120 giorni in assenza dell’adempimento, sarà possibile proporre ricorso al Tar, con il quale il privato chiederà al Giudice Amministrativo di fissare un termine (di regola, 30 giorni) all’Amministrazione per effettuare il pagamento, decorso il quale il Tribunale nominerà un commissario (c.d. commissario ad acta), che, materialmente, disporrà il pagamento, a spese del debitore, in favore dell’impresa ricorrente.
Di seguito, schematizziamo i presupposti necessari per ottenere l’adempimento tramite il giudizio di ottemperanza:
A questo punto, tramite un avvocato specializzato in diritto amministrativo, sarà possibile proporre ricorso al Tar competente ed attivare questa procedura.
Chi scrive ritiene che questo rimedio giurisdizionale sia attualmente preferibile, in termini di rapidità, di probabilità effettiva del recupero e dei costi da anticipare da parte del cliente.
Quanto alla tempistica, il giudizio di ottemperanza si conclude, secondo le statistiche, in qualche mese, a fronte degli anni del pignoramento.
Quanto alla probabilità del recupero, l’esperienza consente di poter affermare che, nella maggioranza dei casi, l’Amministrazione pagherà quanto dovuto prima della fine del giudizio, non appena riceverà la notifica del ricorso. La condanna, infatti, comporterebbe un maggiore esborso economico per la P.A. ed una responsabilità personale dei dirigenti inadempienti.
Anche per quanto concerne i costi, il ricorso per l’ottemperanza del giudicato consente di ridurre l’onere economico del creditore, perché per attivare questo rimedio non è prevista la notificazione del precetto (che comporta il costo per la redazione dell’atto da parte dell’avvocato e le spese di notifica).
Lo Studio Legale Tristano assiste i propri clienti nel recupero del credito verso la Pubblica Amministrazione, sia in fase stragiudiziale, sia giudiziale, garantendo il miglior risultato possibile nel minor tempo.