L’impresa che abbia partecipato ad una procedura di affidamento di un appalto pubblico e intenda contestarne la regolarità (es. aggiudicazione illegittima ad altro concorrente; esclusione dalla gara) o il professionista (o lo Studio professionale) che intenda mettere in dubbio una procedura selettiva pubblica, può proporre opposizione contro l’atto ritenuto illegittimo unicamente davanti al Tribunale Amministrativo Regionale (T.A.R.) competente per territorio, presentando un ricorso, predisposto da un avvocato esperto nella materia.
Il ricorso deve essere notificato all’Amministrazione ed ai soggetti controinteressati entro il termine perentorio di 30 giorni, decorrente:
Oltre questo termine si decade dalla possibilità di contestare la regolarità della gara (per ulteriori approfondimenti della materia, si rimanda all’articolo “Come posso contestare una gara d’appalto?” del gennaio 2018).
In via residuale rispetto ai termini sopra detti, il ricorso avverso un atto di gara può essere proposto entro 30 giorni dalla sua “piena conoscenza” (cfr. art. 41 c.p.a.).
La giurisprudenza, in ordine ai presupposti per la realizzazione della piena “conosenza” , è divisa.
Secondo un primo orientamento, la piena conoscenza del provvedimento amministrativo presuppone la acquisizione integrale dell’atto nei suoi elementi essenziali (soggetto, oggetto, contenuto dispositivo, effetto lesivo) e nei vizi che lo inficiano, la valutazione dei quali è possibile soltanto attraverso la lettura della motivazione (Cons. Stato, Sez. V, 16 settembre 2011 n. 5191).
Secondo una tesi per c.d. intermedia, la piena conoscenza dell’atto coincide con la conoscenza degli elementi essenziali, a condizione che l’interessato sia in condizione di trarre da detti elementi una valutazione sull’illegittimità del provvedimento. In difetto, secondo questo orientamento giurisprudenziale il destinatario avrebbe la mera facoltà – e non l’onere – di gravare subito l’atto per poi proporre i motivi aggiunti, ben potendo attendere di conoscere la motivazione dell’atto onde decidere se impugnarlo o meno.
Secondo un terzo orientamento, quando il provvedimento amministrativo incide in modo diretto, immediato e concreto sulla posizione giuridica di un soggetto, comprimendogli o disconoscendogli diritti o altre utilità di cui questi è titolare, il termine per chiederne l’annullamento decorre dalla sua conoscenza che, in difetto di formale comunicazione, si concretizza nel momento della piena percezione dei suoi contenuti essenziali, senza che sia necessaria la compiuta conoscenza della motivazione, che è rilevante solo ai fini della successiva proposizione dei motivi aggiunti. (Cons. Stato, Sez. IV, 2 settembre 2011, n. 4973).
Pertanto, qualora si seguisse l’ultimo orientamento esposto, la richiesta di accesso ad atti ex l. n. 241/90, non sarebbe idonea ex se a consentire un differimento dei termini di proposizione del ricorso giurisdizionale in quanto la conoscenza del provvedimento risulterebbe integrata dalla semplice cognizione dei suoi elementi essenziali, del suo contenuto dispositivo e della sua lesività rispetto agli interessi del ricorrente, senza che, per contro, sia necessaria la completa acquisizione di tutti gli atti del procedimento e del contenuto integrale della determinazione conclusiva.
Qualora si seguissero invece i primi due orientamenti, ogni qual volta non fosse possibile valutare immediatamente la portata lesiva del provvedimento, il termine decorrerebbe dalla avvenuta ostensione dei documenti richiesti con l’istanza di accesso agli atti.
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